Ricorso  ex  art.  127  Cost.  della  Regione   Lombardia   (c.f.
80050050154), in persona del presidente della  giunta  regionale  pro
tempore, on. Roberto  Maroni,  autorizzato  con  delibera  di  giunta
regionale n. X/6226 del 13 febbraio 2017 (doc.  1),  rappresentata  e
difesa  dall'avv.  prof.  Fabio  Cintioli  (c.f.  CNTFBA62M23F158G  -
fabiocintioli@ordineavvocatiroma.org  -   fax   0668892383),   giusta
procura  speciale  a  margine  del  presente  atto  ed  elettivamente
domiciliata presso il suo studio in Roma, via Vittoria Colonna n. 32; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore (C.F.
80188230587), domiciliato per  la  carica  in  Roma,  Palazzo  Chigi,
Piazza Colonna n. 370; 
    per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
        della legge  11  dicembre  2016,  n.  232,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale n. 297 del 21 dicembre 2016, recante «Bilancio  di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2017  e  Bilancio
pluriennale per il triennio 2017-2019», per omessa  previsione  della
riassegnazione  alle  regioni  ed  agli   enti   locali,   subentrati
nell'esercizio  di  funzioni  provinciali  non  fondamentali,   delle
risorse sottratte a province e citta' metropolitane  e,  dunque,  per
violazione dell'art. 119, commi 1, 2 e 3 Cost.; nonche', 
        del comma 528 dell'art. 1 della richiamata legge 11  dicembre
2016, n. 232 per  violazione  dell'art.  119,  comma  3  e  5,  della
Costituzione. 
 
                                Fatto 
 
    Viene in questa sede impugnata la legge  n.  232/2016  (Legge  di
Bilancio 2017), anzitutto in quanto essa, pur essendo la sede propria
per provvedervi, non ha disposto alcuna riassegnazione alle regioni e
agli  enti  locali  delle  risorse  sottratte  a  province  e  citta'
metropolitane per effetto dell'art. 1, commi 418, 419 e 451, legge n.
190/2014. 
    Come si illustrera' in  seguito,  questa  omissione  si  pone  in
contraddizione  con  quanto  affermato  da   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale nella sentenza n. 205 del 21 luglio 2016,  secondo  la
quale le  predette  disposizioni  della  legge  n.  190/2014  possono
ritenersi  conformi  al  disposto  dell'art.  119   Cost.   solo   se
interpretate nel senso che «disponendo il comma 418  che  le  risorse
affluiscano «ad apposito  capitolo  di  entrata  del  bilancio  dello
Stato» [...] tale allocazione sia destinata, per quel che riguarda le
risorse degli enti di area vasta connesse al riordino delle  funzioni
non  fondamentali,  ad  una  successiva  riassegnazione   agli   enti
subentranti nell'esercizio delle  stesse  funzioni  non  fondamentali
(art. 1, comma 97, lettera b, della legge n. 56 del 2014)». 
    Viene in secondo luogo qui impugnato anche il comma 528 dell'art.
1 della citata legge n. 232/2016, per violazione dell'art. 119, comma
3 e 5, della Costituzione. 
    Tale norma, infatti, impone  alle  regioni  di  contribuire  alla
finanza pubblica mediante un versamento a favore del  bilancio  dello
Stato fino al 2020 (ovvero oltre il triennio 2017-2019 di riferimento
del bilancio statale), senza tuttavia disporre ne'  il  trasferimento
di tali somme a fondi perequativi, come previsto dall'art. 119, comma
3, Cost., ne' una destinazione delle stesse in linea con l'art.  119,
comma 5, Cost. 
    Le disposizioni in epigrafe sono costituzionalmente illegittime e
vengono impugnate da Regione Lombardia per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
I. Illegittimita' costituzionale della legge 11 dicembre 2016, n. 232
per violazione dell'art. 119, commi 1, 2 e 3 Cost. 
    Con il primo motivo di ricorso si censura la  legge  in  epigrafe
nella parte in cui non prevede alcuna riassegnazione alle regioni  ed
agli  enti  locali  delle  risorse  sottratte  a  province  e  citta'
metropolitane per effetto  di  alcune  disposizioni  della  legge  n.
190/2014. 
    1. L'art. 1, comma 418, legge 23 dicembre 2014, n.  190,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge di Stabilita' 2015)», dispone che «Le  province  e
le  citta'  metropolitane  concorrono  al  contenimento  della  spesa
pubblica attraverso una  riduzione  della  spesa  corrente  di  1.000
milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per  l'anno
2016 e di 3.000 milioni  di  euro  a  decorrere  dall'anno  2017.  In
considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente,
ripartite nelle misure del 90 per cento  fra  gli  enti  appartenenti
alle regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento fra  gli
enti della Regione  siciliana  e  della  Regione  Sardegna,  ciascuna
provincia e  citta'  metropolitana  versa  ad  apposito  capitolo  di
entrata del bilancio dello Stato un  ammontare  di  risorse  pari  ai
predetti risparmi di  spesa.  Fermo  restando  per  ciascun  ente  il
versamento relativo all'anno 2015, l'incremento  di  900  milioni  di
euro del predetto versamento a carico degli  enti  appartenenti  alle
regioni a statuto ordinario e' ripartito, per l'anno  2016,  per  650
milioni di euro a carico degli enti di area vasta  e  delle  province
montane e, per la restante quota di 250 milioni  di  euro,  a  carico
delle citta' metropolitane e di Reggio  Calabria.  Sono  escluse  dal
versamento di cui al periodo precedente, fermo  restando  l'ammontare
complessivo del contributo dei periodi precedenti,  le  province  che
risultano in dissesto alla data del 15 ottobre 2014. Con  decreto  di
natura non regolamentare del Ministero dell'interno, di concerto  con
il Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare  entro  il  31
marzo 2015, con il supporto tecnico della Societa' per gli  studi  di
settore - SOSE Spa, sentita la Conferenza Stato-citta'  ed  autonomie
locali, e' stabilito l'ammontare della riduzione della spesa corrente
che ciascun ente deve  conseguire  e  del  corrispondente  versamento
tenendo conto anche della differenza tra spesa storica  e  fabbisogni
standard». 
    A sua volta, l'art. 1, comma 419, della stessa legge prevede  che
«In caso di mancato versamento del contributo di cui  al  comma  418,
entro il 31 maggio di ciascun anno, sulla base  dei  dati  comunicati
dal Ministero dell'interno, l'Agenzia delle  entrate,  attraverso  la
struttura di gestione di  cui  all'art.  22,  comma  3,  del  decreto
legislativo 9  luglio  1997,  n.  241,  provvede  al  recupero  delle
predette  somme  nei  confronti  delle  province   e   delle   citta'
metropolitane interessate, a valere sui versamenti dell'imposta sulle
assicurazioni  contro  la  responsabilita'  civile  derivante   dalla
circolazione dei veicoli a motore,  esclusi  i  ciclomotori,  di  cui
all'art. 60 del decreto legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446,  e
successive modificazioni, riscossa tramite modello F24, all'atto  del
riversamento del relativo gettito alle  medesime  province  e  citta'
metropolitane.  In  caso  di  incapienza  a  valere  sui   versamenti
dell'imposta di cui al primo periodo, il  recupero  e'  effettuato  a
valere sui versamenti dell'imposta provinciale di  trascrizione,  con
modalita' definite con decreto del Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, di concerto con il Ministero dell'interno». 
    Da ultimo, l'art.  1,  comma  451,  della  richiamata  legge,  ha
modificato  l'art.  47  del  decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66
(convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014,  n.  89),
recante «Misure urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale.
(Decreto IRPEF)», estendendo l'obbligo delle province,  delle  citta'
metropolitane e dei comuni di concorrere alla riduzione  della  spesa
pubblica sino a tutto l'anno 2018. 
    2. Le predette disposizioni erano state impugnate  dalla  Regione
Veneto in via principale dinanzi a codesta Corte,  tra  l'altro,  per
violazione dell'art. 119, comma 1, 2 e 3, Cost., nella misura in  cui
il passaggio di risorse dal  bilancio  provinciale  (e  delle  Citta'
Metropolitane) a quello statale sarebbe stato disposto  senza  alcuna
parallela prescrizione circa la destinazione  che  lo  Stato  avrebbe
dovuto imprimere a tali risorse, salvo l'unico riferimento al vincolo
a versare l'importo «ad apposito capitolo  di  entrata  del  bilancio
dello  Stato».  Questa  circostanza  avrebbe  cagionato  la   lesione
dell'autonomia  finanziaria  di  spesa  e   il   capovolgimento   dei
meccanismi di compartecipazione e di trasferimento di  risorse  dallo
Stato alla periferia di cui all'art. 119, commi 1, 2 e 3, Cost. 
    3. La sentenza n. 205 del 2016 di codesta Corte,  decidendo  tale
ricorso,  ha  si'   dichiarato   non   fondata   la   questione,   ma
esclusivamente in base al presupposto che, «disponendo il  comma  418
che le risorse affluiscano  "ad  apposito  capitolo  di  entrata  del
bilancio dello Stato", si deve ritenere -  e  in  questi  termini  la
disposizione va correttamente interpretata - che tale allocazione sia
destinata, per quel che riguarda le risorse degli enti di area  vasta
connesse  al  riordino  delle  funzioni  non  fondamentali,   a   una
successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio  delle
stesse funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b,  della
legge n. 56 del 2014)» (enfasi aggiunta). 
    In altre  parole,  «La  previsione  del  versamento  al  bilancio
statale di risorse frutto della riduzione della spesa da parte  degli
enti  di  area  vasta  va  dunque  inquadrata  nel   percorso   della
complessiva riforma in itinere. E, cosi' intesa, essa si  risolve  in
uno specifico passaggio della vicenda straordinaria di  trasferimento
delle risorse da detti enti ai nuovi  soggetti  ad  essi  subentranti
nelle   funzioni   riallocate,   vicenda   la   cui   gestione   deve
necessariamente essere affidata allo Stato». 
    Codesta Corte ha cosi' concluso che «I  commi  418,  419  e  451,
dunque, non violano l'art. 119, primo, secondo e terzo  comma,  Cost.
nei termini lamentati dalla ricorrente, perche'  le  disposizioni  in
essi contenute vanno intese nel senso che il versamento delle risorse
ad apposito capitolo del bilancio  statale  (cosi'  come  l'eventuale
recupero delle somme a valere sui tributi di cui  al  comma  419)  e'
specificamente destinato al finanziamento delle funzioni  provinciali
non fondamentali e che tale misura si inserisce sistematicamente  nel
contesto del processo di riordino di tali funzioni  e  del  passaggio
delle relative risorse agli enti subentranti» (enfasi aggiunta). 
    4. Codesta Corte ha evidentemente ritenuto di  poter  evitare  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme  impugnate
nell'esclusivo presupposto che le risorse prelevate sul territorio in
favore dello  Stato  dovessero  essere  destinate  ad  una  -  seppur
successiva -  riassegnazione  agli  enti  subentranti  nell'esercizio
delle stesse  funzioni.  Solo  su  queste  basi,  dunque,  si  poteva
escludere quel vulnus di costituzionalita'  lamentato  dalla  Regione
ricorrente e derivante dall'assenza  di  una  specifica  destinazione
delle risorse prelevate, espressamente prevista dall'art. 119 Cost. 
    Si  e'  trattato,  dunque,  di  una  sentenza  interpretativa  di
rigetto, con la quale il rapporto di  conformita'  alla  Costituzione
delle disposizioni legislative impugnate e' stato dichiarato non  «in
assoluto», ma in quanto alle disposizioni stesse  si  fosse  dato  un
certo significato: quello, come detto, dell'implicito  ma  necessario
obbligo di riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio  delle
funzioni provinciali non  fondamentali  delle  risorse  prelevate  ai
sensi della legge n. 190/2014. 
    Nel contempo, essendo in gioco  alla  base  della  norma  de  qua
rilevanti flussi finanziari in movimento dagli enti territoriali allo
Stato, da tale  interpretazione,  calibrata  sulla  riassegnazione  a
beneficio di chi avrebbe poi assunto le funzioni  in  questione,  non
poteva che derivare un vincolo a  carico  dello  Stato  medesimo,  da
ottemperare nella sede della legge di bilancio. 
    5.  Nonostante  la  chiara  prescrizione  di  codesta  Corte,  il
legislatore ha approvato la legge oggi impugnata, la quale, lungi dal
provvedere in ossequio a quanto disposto dalla sentenza  n.  205  del
2016, non ha minimamente previsto alcuna riassegnazione delle risorse
in esame in favore delle  regioni  e  degli  enti  locali.  Con  tale
omissione,  tuttavia,  il  legislatore  ha  prodotto  proprio  quella
violazione dell'art. 119 Cost. che codesta Corte  aveva  escluso  nel
solo presupposto  che  il  legislatore  statale  ottemperasse  ad  un
vincolo a suo carico concernente tale riassegnazione. 
    La  legge  impugnata,  infatti,  costituisce  la  sedes  materiae
naturale per una simile riassegnazione,  considerato  che,  ai  sensi
dell'art. 81 Cost., la  legge  di  bilancio  e'  lo  strumento  della
manovra di finanza pubblica, con il  quale  lo  Stato  provvede  alla
ripartizione dei mezzi finanziari tra i vari rami di amministrazione,
in relazione ai fini che si intendono conseguire. Sicche', e' proprio
in essa che lo Stato avrebbe dovuto adeguarsi  al  dictum  risultante
dalla sentenza di codesta Corte pubblicata il 21 luglio 2016. 
    In cio' si manifesta la violazione dell'art. 119, commi 1, 2 e 3,
della Costituzione, nella parte in cui  la  legge  di  bilancio  oggi
impugnata  (n.  232  del  2016),  nulla  disponendo  in  ordine  alla
riassegnazione delle risorse di cui alla legge n.  190  del  2014  in
favore delle regioni e degli  enti  locali,  finisce  per  vanificare
l'obbligo che codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  ha  imposto  al
legislatore e, cosi', per ledere l'autonomia finanziaria di spesa  di
cui all'art. 119 Cost. 
    Sussistendo un interesse diretto di Regione Lombardia  in  merito
al subentro nelle funzioni collegate  ai  fondi  da  riassegnare,  si
chiede,  pertanto,  che  codesta  ecc.ma  Corte   voglia   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale della legge 232 del 2016 nella  parte
in cui nulla dispone in ordine alla riassegnazione  alle  regioni  ed
agli enti locali, subentrati nell'esercizio di  funzioni  provinciali
non  fondamentali,  delle  risorse  sottratte  a  province  e  citta'
metropolitane ai sensi dell'art. 1, commi 418, 419 e 451 della  legge
n. 190/2014, per violazione dell'art. 119, commi 1, 2 e 3 Cost. 
    In ogni caso, si chiede che codesta  ecc.ma  Corte,  rilevata  la
mancanza nella legge n. 232 del 2016 di qualsiasi disposizione  circa
la riassegnazione alle regioni ed agli enti locali delle  risorse  in
esame, indirizzi al legislatore quantomeno l'invito e/o il  monito  a
volervi  provvedere  al  piu'  presto,  ammonendolo  che,   in   caso
contrario, la richiamata  legge  n.  232  del  2016  incorrerebbe  in
illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 119, commi  1,
2 e 3 Cost. 
II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 528, della legge
11 dicembre 2016, n. 232, per violazione degli articoli 119, commi  3
e 5, della Costituzione. 
    1. Con il secondo motivo di ricorso si censura  l'art.  1,  comma
528, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, il quale ha modificato  il
comma 680 dell'art. 1 legge n. 208/2015. 
    2. In particolare, tale ultima disposizione normativa  prevedeva,
prima di tale ultima modifica, che «Le regioni e le province autonome
di Trento e di Bolzano, in conseguenza  dell'adeguamento  dei  propri
ordinamenti ai principi di coordinamento della  finanza  pubblica  di
cui alla presente legge e  a  valere  sui  risparmi  derivanti  dalle
disposizioni ad esse direttamente applicabili ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, della  Costituzione,  assicurano  un  contributo  alla
finanza pubblica pari a 3.980 milioni di euro per  l'anno  2017  e  a
5.480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, in  ambiti
di spesa e per importi proposti, nel rispetto dei livelli  essenziali
di assistenza, in sede di auto coordinamento dalle regioni e province
autonome medesime, da recepire con intesa  sancita  dalla  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio di ciascun anno.
In assenza di tale intesa entro i predetti termini, con  decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei   ministri,   da   adottare,   previa
deliberazione del Consiglio dei  minimi,  entro  venti  giorni  dalla
scadenza dei predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad
ambiti di  spesa  ed  attribuiti  alle  singole  regioni  e  province
autonome, tenendo anche conto della popolazione residente e del  PIL,
e  sono  rideterminati  i  livelli  di  finanziamento  degli   ambiti
individuati e le modalita' di acquisizione  delle  risorse  da  parte
dello Stato, considerando anche le risorse destinate al finanziamento
corrente del Servizio sanitario nazionale. Fermo restando il concorso
complessivo di cui  al  primo  periodo,  il  contributo  di  ciascuna
autonomia speciale e' determinato previa intesa  con  ciascuna  delle
stesse. Le regioni e le Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
assicurano il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza come
eventualmente rideterminato ai sensi del presente comma e  dei  commi
da 681 a 684 del presente articolo e dell'art. 1, commi da 400 a 417,
della legge 23 dicembre 2014, n. 190. Per  la  Regione  Trentino-Alto
Adige  e  per  le  province  autonome  di   Trento   e   di   Bolzano
l'applicazione del presente comma avviene nel  rispetto  dell'Accordo
sottoscritto tra il Governo e i predetti  enti  in  data  15  ottobre
2014, e recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190, con il  concorso
agli obiettivi di finanza pubblica previsto dai commi da  406  a  413
dell'art. 1 della medesima legge». 
    3. L'art. 1, comma 528, della legge n. 232 del 2016 ha modificato
il predetto art. 1, comma 680, legge n. 208/2015 estendendo l'obbligo
per le regioni di contribuire alla finanza pubblica fino a  tutto  il
2020, nonche' prevedendo  che,  nel  rideterminare  le  modalita'  di
acquisizione delle risorse da parte dello Stato in  caso  di  mancato
raggiungimento dell'intesa entro il 31 gennaio di ciascun  anno,  sia
anche  possibile  «prevedere  versamenti  da  parte   delle   regioni
interessate». 
    Per la precisione, la novella del comma 680,  li  dove,  «tenendo
anche conto della popolazione residente e  del  PIL»,  disponeva  che
«sono  rideterminati  i  livelli  di   finanziamento   degli   ambiti
individuati e le modalita' di acquisizione  delle  risorse  da  parte
dello Stato», soggiunge oggi: «inclusa la possibilita'  di  prevedere
versamenti da parte delle regioni interessate». 
    La novella, dunque, incide su una norma  la  quale,  in  origine,
cosi' disponeva: (i) contemplava un sistema  di  «contribuzione  alla
finanza pubblica» delle regioni per un ammontare predeterminato; (ii)
stabiliva  che,  in  prima  battuta,  il  sacrificio  dovesse  essere
ripartito secondo una intesa in Conferenza permanente  Stato-Regioni;
(iii) aggiungeva che, in seconda battuta, in mancanza di  intesa,  il
sacrificio fosse ripartito, nelle forme di  riduzioni  di  spesa  («i
richiamati importi sono assegnati ad ambiti di  spesa  ed  attribuiti
alle singole regioni  e  province  autonome»)  mediante  decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  previa  deliberazione  del
Consiglio  dei  ministri,  «tenendo  anche  conto  della  popolazione
residente e del PIL». 
    4. La novella, oltre ad estendere illegittimamente l'obbligo  per
le Regioni di contribuire alla finanza pubblica fino a tutto il 2020,
implica  una  dirompente  novita',  che   include   addirittura   «la
possibilita'  di  prevedere  versamenti  da   parte   delle   regioni
interessate». Non indica, la norma, tuttavia, ne' i puntuali  criteri
per determinare questi contributi, ne' le forme organizzative di come
dovranno essere acquisiti tali contributi e  di  come  il  sacrificio
debba essere ripartito tra le Regioni, al di fuori del fatto  che  si
terra' conto «anche» della popolazione residente e del PIL. 
    La norma impugnata, dunque, impone alle Regioni un  vincolo  alle
politiche di  bilancio  prevedendo,  oggi,  che  il  contributo  alla
finanza pubblica possa essere conseguito non solo con  una  riduzione
di spesa, ma anche con versamenti  di  entrate  proprie  al  bilancio
statale. Non si chiede, insomma, di ridurre la spesa per  ragioni  di
coordinamento  finanziario,  ma  si  prefigura  una  vera  e  propria
sottrazione di risorse alle regioni mediante un transito  finanziario
all'inverso a favore dello Stato. 
    Inoltre, non e' chiaro se questi versamenti  abbiano  una  natura
effettivamente perequativa, dato che vengono  acquisiti  dallo  Stato
senza un ulteriore meccanismo di riassegnazione. Infine, si tratta di
acquisizioni fatte in  modo  tale  che  non  si  collegano  ne'  alla
istituzione di un apposito fondo  perequativo  (art.  119,  comma  3,
Cost.), ne' ad una destinazione di  risorse  aggiuntive  attuata  nel
rispetto di quanto richiesto in proposito dall'art. 119, comma 5. 
    In altre parole, lo Stato si assicura cosi' il  trasferimento  di
risorse da parte delle regioni (dato che puo' tout  court  «prevedere
versamenti»),  verosimilmente  in   maniera   disomogenea   dato   il
riferimento a PIL e popolazione residente, e tuttavia nulla  si  dice
su come lo Stato le riutilizzera' ne' le si indirizza in un  apposito
fondo perequativo. 
    5. Codesta Corte costituzionale si e' ripetutamente espressa  sui
limiti che lo Stato  deve  rispettare  quando  intenda  imporre  alle
regioni  vincoli  alle  politiche  di   bilancio   per   ragioni   di
coordinamento  finanziario.  Ha  ben  chiarito,  anzitutto,  che   il
legislatore statale puo' imporre limiti alla spesa per  finalita'  di
coordinamento della finanza pubblica e per raggiungere  obiettivi  di
riequilibrio, incidendo anche sulla spesa corrente  purche'  in  modo
transitorio (ad es., Corte costituzionale n. 287 del 2013, nn.  23  e
22 del 2014). Ed il che  rende  gia'  palese  l'illegittimita'  della
disposizione impugnata  nella  parte  in  cui  estende  l'obbligo  di
contribuire alla finanza pubblica fino a tutto il 2020. In tal  modo,
infatti, l'imposizione, lungi dall'essere transitoria, assume  sempre
piu' il carattere della stabilita' e, in quanto  tale,  contraria  ai
principi sanciti sul punto da codesta Corte. 
    Ma, ancora e soprattutto, la Corte si e' occupata del caso in cui
gli interventi dello Stato, anziche' essere uniformi e richiedenti un
impegno omogeneo da parte delle regioni,  siano  basati  e/o  possano
presupporre una differenziazione tra le regioni stesse e le  province
autonome. In questi  casi  si  e'  ripetutamente  affermato  che  gli
interventi statali fondati sulla differenziazione tra regioni,  volti
a rimuovere gli squilibri economici  e  sociali,  devono  seguire  le
modalita' fissate dall'art. 119, quinto comma, Cost., senza  alterare
i vincoli generali di contenimento  della  spesa  pubblica,  che  non
possono che essere uniformi (sentenze n. 46 del 2013  e  n.  284  del
2009) ed ha anche affermato  che,  ove  le  risorse  acquisite  siano
destinate ad  un  apposito  fondo  perequativo,  esse  devono  essere
indirizzate ai soli  «territori  con  minore  capacita'  fiscale  per
abitante», art. 119, terzo comma, Cost. (cosi' la sentenza n. 79  del
2014). 
    Proprio in tale sentenza n. 79 del 2014, del resto, la  Corte  ha
distinto tra  l'obbligo  di  tutti  gli  enti  del  settore  pubblico
allargato, incluse le regioni, di fornire un contributo alla  finanza
pubblica - evidentemente secondo criteri omogenei - ed interventi  di
perequazione degli squilibri economici,  chiarendo  appunto  sia  che
questa seconda strada e' quella che viene percorsa quando si chiedono
sacrifici differenziati sia che essa deve necessariamente passare per
le forme dell'art. 119,  commi  3  e  5:  «mentre  il  concorso  agli
obiettivi di finanza pubblica e' un obbligo  indefettibile  di  tutti
gli enti del settore pubblico  allargato  di  cui  anche  le  regioni
devono farsi carico attraverso un accollo proporzionato  degli  oneri
complessivi  conseguenti  alle  manovre  di  finanza   pubblica   (ex
plurimis, sentenza n. 52 del 2010), la perequazione  degli  squilibri
economici in ambito regionale deve rispettare le  modalita'  previste
dalla Costituzione, di modo che il loro impatto sui conti consolidati
delle  amministrazioni  pubbliche  possa   essere   fronteggiato   ed
eventualmente redistribuito attraverso la  fisiologica  utilizzazione
degli strumenti consentiti  dal  vigente  ordinamento  finanziario  e
contabile»  (sentenza  n.  176  del  2012).  Conseguentemente,   «gli
interventi perequativi e solidali devono garantire risorse aggiuntive
rispetto a quelle reperite per l'esercizio delle normali funzioni», e
provenienti dallo Stato (sentenza n. 176 del 2012), devono avere  uno
«specifico   ambito   territoriale   di   localizzazione»,    nonche'
«particolari categorie svantaggiate destinatarie»  (sentenza  n.  254
del 2013)». 
    Sempre la sentenza n. 79 del 2014,  giudicando  una  disposizione
che aveva creato una differenziazione del sacrificio contributivo tra
le regioni al di fuori delle forme dell'art. 119, commi 3 e 5, ha poi
concluso che proprio tali forme non possono dirsi soddisfatte  se  le
relative disposizioni «non  contengono  alcun  indice  da  cui  possa
trarsi la conclusione che le risorse  in  tal  modo  acquisite  siano
destinate ad un fondo perequativo indirizzato ai soli  territori  con
minore capacita' fiscale per abitante (art. 119, terzo comma, Cost.),
ne' che esse siano volte a fornire quelle risorse aggiuntive, che  lo
Stato  -  dal  quale,  peraltro,  dovrebbero  provenire   -   destina
esclusivamente a determinate regioni per scopi  diversi  dal  normale
esercizio delle loro funzioni (art.  119,  quinto  comma,  Cost.:  ex
plurimis, sentenze n. 273 del 2013; n. 451 del 2006; n. 107 del 2005;
n. 423, n. 320, n. 49 e n. 16 del 2004)». 
    6. Il caso trattato nel precedente del 2014 era, del resto, molto
simile a quello qui in discussione. 
    La norma dichiarata illegittima infatti: (i) prevedeva  sacrifici
differenziati tra regioni (si utilizzava, in quel caso,  il  criterio
dei consumi intermedi); (ii) ammetteva un versamento a  carico  delle
regioni ed a favore dello Stato su determinazione  unilaterale  dello
Stato in caso  di  mancanza  dell'intesa  in  Conferenza;  (iii)  non
prevedeva il passaggio attraverso un fondo perequativo  ne'  spiegava
presupposti e finalita' di eventuali dotazioni aggiuntive, in  palese
violazione dell'art. 119, commi 3 e 5. 
    La disposizione qui censurata, parimenti,  presenta  le  medesime
caratteristiche,  dato  che  consente  allo  Stato  di   imporre   un
versamento alle regioni e non una mera riduzione di  spesa,  con  una
distribuzione del sacrificio disomogenea, tenendo «anche»  conto  del
PIL e della popolazione residente, senza contemplare il passaggio  in
un fondo perequativo ex comma 3 dell'art. 119 e senza  fare  i  conti
con le premesse e gli obiettivi indicati nel comma 5  dell'art.  119.
Ed, oltretutto, persino omettendo di enunciare un  vincolo  a  carico
dello Stato alla futura erogazione. 
    La norma qui impugnata, forte anche della sua genericita' che non
fa altro che rafforzare il potere statale («inclusa  la  possibilita'
di prevedere versamenti da parte  delle  regioni  interessate»),  non
mira affatto ad attuare «un obbligo indefettibile di tutti  gli  enti
del settore pubblico allargato» di proporzionalmente contribuire agli
oneri delle manovre di finanza pubblica. Essa invece vuole consentire
allo  Stato  dei  prelievi  dai  contorni  oltretutto  indefiniti   e
differenziati («anche» tenendo conto  del  PIL  e  della  popolazione
residente). Questa strada, pero' ha gia' spiegato codesta Corte,  non
puo' proseguire se non nei modi stilati dall'art. 119, commi 3 e 5. 
    Infatti  i  vincoli  posti  dall'art.  119,  commi  3  e  5   non
impediscono di certo che vengano adottati  interventi  perequativi  a
favore delle collettivita' economicamente piu' deboli. Ma cio' potra'
avvenire solo attraverso quei moduli legislativi e procedimentali non
collidenti con il dettato dell'art. 119 (Corte cost. n. 176 del  2012
cit.). Non v'e' dubbio che «lo Stato... deve  affrontare  l'emergenza
finanziaria    predisponendo    rimedi    che    siano     consentiti
dall'ordinamento costituzionale» (Corte cost., n. 151 del 2012). 
    Ne risulta dunque la denunciata violazione dell'art. 119, commi 3
e 5, della Costituzione. 
    Per questi motivi, Regione Lombardia chiede  che  sia  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate.